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L’introduzione del buddhismo in Giappone

Statua di Buddha in Giappone

Come molti sapranno, il Buddhismo è una delle religioni più diffuse in Asia Orientale, avendo raggiunto ed essendosi diffusa nella quasi totalità dei territori dell’Estremo Oriente.

Il Buddhismo ebbe origine in India, nel VI secolo a.C. circa, per poi arrivare, attraverso un’estensiva opera di traduzione dei testi sacri, in Cina nel I secolo d.C. Da lì si propagò quindi in tutte le regioni limitrofe, tra cui il Sud-Est Asiatico, la Penisola Coreana e, appunto, l’Arcipelago Giapponese. L’introduzione del buddhismo in Giappone è avvenuta insomma attraverso un lungo e tortuoso percorso.

I PRIMI contatti

Le cronache tradizionali attestano che il Buddhismo sia stato introdotto nell’arcipelago nell’anno 552 d.C., anche se gli storici ritengono sia più plausibile pensare che questo sia avvenuto nel 538. Si dice che in quest’anno il sovrano del regno coreano di Paekche avesse inviato al capo della confederazione Yamato (in quel periodo Kinmei) un dono, costituito da una statua e alcune scritture buddhiste, che venne recapitato al leader della federazione assieme a una lettera dello stesso re di Paekche, dove egli spiegava a Kinmei quali fossero i vantaggi dell’adesione a questa nuova dottrina che era in grado di “esaudire tutti i desideri in proporzione all’uso”.

La religione buddhista consiste nell’annullamento del proprio essere e dei propri desideri per la salvezza dell’anima, dunque appare evidente come essa fosse stata trasformata dai contatti con i vari culti indigeni delle diverse regioni asiatiche in cui era penetrato in precedenza. E fu anche a causa di questa sua nuova sfumatura che essa riuscì a fare così tanta presa sulle élite giapponesi, presso cui si diffuse nel giro di pochi decenni.

Buddha, statua indiana
“hasedera buddha” by John Rabbit is licensed under CC BY 2.0
LA CONTRAPPOSIZIONE TRA DUE CULTI: SHINTO E BUDDHISMO

Uno degli ostacoli da superare per la nuova religione fu senz’altro quello dello shinto, che si era stabilito come culto principale delle classi egemoni nella confederazione Yamato. Molte di queste famiglie avevano ottenuto la loro preminente posizione proprio grazie alla fede shinto, in quanto facevano parte in maniera più o meno importante del clero indigeno. Esempio più che valido di ciò era sicuramente il clan dei Nakatomi, un clan di sacerdoti che serviva la casa Yamato (in seguito divenuta casa imperiale). Questo fronte conservatore si oppose strenuamente, quindi, all’introduzione del nuovo culto, portando a uno scontro armato con i suoi sostenitori, capitanati dai Soga, un clan proveniente dalla penisola coreana.

L’AFFERMAZIONE DEL NUOVO CULTO

L’esito dello scontro, avvenuto nel 587, fu favorevole ai Soga e, di conseguenza, all’introduzione del Buddhismo. Questa presa di potere da parte del clan Soga portò a delle conseguenze molto importanti sul piano culturale e sociale, oltre che su quello politico. Infatti, la famiglia nobile di origine coreana cominciò a favorire gli scambi commerciali e culturali con il continente, portando all’affermazione di norme di derivazione cinese sia in ambito letterario, sia politico, sia artistico.

Una delle principali innovazioni di questo periodo fu l’affermazione della scrittura in sinogrammi come metodo di registrazione delle informazioni, cosa che permise anche la redazione di cronache ufficiali, prime fra tutte il Kojiki (712) e il Nihon Shoki (720), ma anche l’introduzione delle norme architettoniche cinesi per la costruzione degli edifici ufficiali, come la corte imperiale e i templi. Nel corso dei secoli VII e VIII, la nuova religione si diffuse in maniera stabile all’interno della famiglia imperiale, che nel frattempo aveva unificato lo stato giapponese su modello cinese.

IL BUDDHISMO FRA LE MASSE

Inizialmente, il Buddhismo si diffuse solamente fra gli strati più alti della popolazione dell’Impero, in modo particolare tra l’aristocrazia civile, i kuge (公 家). Per molti secoli essa rimase confinata all’interno della corte e nei monasteri, anche perché la popolazione più umile era completamente tagliata fuori dalla vita della classe nobile, tanto che le due non comunicavano se non per mezzo di funzionari di ceto medio, che facevano da intermediari tra la capitale e le province esterne.

In quel periodo, quindi, la popolazione umile aveva continuato a professare i culti indigeni, basati sulla venerazione delle forze della natura e sul ciclo delle stagioni e delle fasi della coltivazione del riso. Solo nel periodo Kamakura (1185-1333) si ebbe una significativa penetrazione del credo buddhista fra le masse, per quanto sentimenti affini alle credenze buddhiste avessero già iniziato a nascere un paio di secoli prima. La ragione che portò al fenomeno di popolarizzazione della religione buddhista fu la percezione da parte del popolo di un’imminente catastrofe a causa delle grandi tensioni politiche derivate dall’affermazione dell’aristocrazia militare come forza egemone nel Paese.

Nacquero quindi delle sette buddhiste che si occuparono della semplificazione e diffusione di concetti altrimenti incomprensibili alle masse ignoranti e analfabete di contadini, che iniziarono a venerare sia i Buddha sia i Kami allo stesso tempo, chiedendo salvezza ai primi e facendo offerte per placare i secondi. Ciò portò a un fenomeno di importanza fondamentale nella storia della spiritualità giapponese, ossia alla fusione delle due religioni e all’inizio delle pratiche sincretiche, che ancora oggi costituiscono il tratto peculiare della pratica religiosa in Giappone.

Le influenze delle religioni si possono vedere in molti aspetti della vita giapponese, dalle festività tradizionali e moderne fino alla periodizzazione della storia del Giappone.

fonti

R. Caroli, F. Gatti, Storia del Giappone, Editori Laterza, Bari, 2017

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