
Tra il IX° e il X° secolo, con la definitiva affermazione del patriarcato, l’impurità finisce per diventare una condizione negativa che inerisce essenzialmente alla natura della donna. Sia per quanto riguarda la fede Buddhista che quella Shinto, infatti, la donna svolgeva un ruolo marginale durante i riti e le pratiche religiose. Non è infatti la fede a stare alla base del contatto con Dio, bensì la purezza.
Purezza ed impurità
Per capire questo discorso bisogna fare delle premesse fondamentali. Il corpo veniva considerato come un simbolo della comunità, all’interno del quale si riproducevano anche le strutture sociali. Corpo fisico e corpo sociale tendevano quindi a sovrapporsi e combaciare. Se il corpo fisico è armonioso, lo sarà anche quello sociale. Per essere armonioso il corpo doveva essere compatto, ma tutto ciò che è impuro ne va ad intaccare l’unità, simbolo di un’unità e coesione sociale. I suoi margini e i suoi orifizi possono essere pericolosi, in quanto vanno a minare la sua compattezza. Viene considerata, quindi, impura la materia che ne fuoriesce.
E’ importante però dire che fin quando queste versamenti rimangono dentro al corpo non è considerato impuro, come il sangue nelle vene: è neutrale. Il sangue e le altre secrezioni del corpo diventano impure quando si disperdono all’esterno del corpo.

La tradizione shinto
Nei concetti di purezza ed impurità non vi è alcuna connotazione di carattere morale o legate al concetto di peccato. La donna viene considerata impura a causa del sangue mestruale, e nella tradizione Shinto ad essa non viene attribuito alcun ruoto nelle cerimonie, è solo una spettatrice, in quanto la sua presenza potrebbe minacciare l’efficacia del rito. Durante il periodo mestruale alle donne era vietato recarsi ai templi e venivano confinate in una casa separata, in quanto si pensava che contaminassero il focolaio domestico. Una volta finito il periodo mestruale, esse dovevano andare ad eseguire rituali di purificazione presso i templi e solo allora potevano tornare a casa con la loro famiglia. Tutte le religioni coesistite erano d’accordo sull’impurità della donna in Giappone.
Nel Buddhismo
Anche per il Buddhismo, la donna è da sempre stata condannata per il suo potere tentatore e per la sua sessualità.
“O monaci, non conosco proprio alcun’altra esperienza di forma, suono, odore, sapore e tatto da cui il cuore di una donna sia resa così schiavo come lo è dalla forma, dalla voce, dal profumo, dal sapore e dalle carezze di un uomo”.
Aṅguttara Nikāya, i. Ⅰ , 1-2.
Viene considerata come il samsara, ovvero l’eterno ciclo delle rinascite che imprigiona l’uomo sulla terra. Tuttavia, non tutte le comunità buddhiste avevano e hanno questi preconcetti sulle donne e sulle loro capacità di giungere alla via dell’illuminazione, tipiche del Buddhismo Theravada (antico, vecchio). Infatti, a differenza della scuola Theravada, caratterizzata dalla figura statica e conservatrice dell’Arhat (la persona perfetta, colui che ha raggiunto il Nirvana), nella scuola Mahayana ogni discepolo può vivere in conformità e nel pieno rispetto degli insegnamenti Buddhisti, anche le donne.
Grazie alla diffusione del Buddhismo Mahayana, infatti, la figura della donna viene decostruita e inserita in un nuovo discorso. La figura che incentiva questo cambiamento è Avalokitesvara (Kannon, in Giapponese), il bodhisattva della grande compassione, rappresentata come donna.
“Colei che ascolta i lamenti del mondo”
Circa nel 1200, grazie a Nichiren Daishonin fu così stabilita l’uguaglianza di genere per la bodhi (l’illuminazione).
«Non devono esserci discriminazioni tra coloro che propagano i cinque caratteri di Myoho-renge-kyo nell’ultimo Giorno della Legge, siano essi uomini o donne».
Questo fu un cambiamento rivoluzionario per la condizione della donna di quell’epoca, che era sottomessa dalla propria famiglia, dal marito e successivamente anche dal proprio figlio maschio. Nichiren supportò numerose donne nominandole Shonin, sante. Tramite gli insegnamenti del Sutra del Loto, egli si impegnò a condividere e divulgare il messaggio di uguaglianza tra i popoli e le donne del Giappone.
Riferimenti
[1] Raveri, Massimo. Il pensiero giapponese classico. Einaudi, 2014, p.56