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Giappone e kawaii culture

Pupazzo di Hello Kitty in una libreria

Qual è la prima cosa che ti viene in mente quando pensi al Giappone? Esatto! Anime e manga. Il Giappone viene spesso definito, soprattutto nei Paesi non asiatici, come la patria dei cartoni animati. So perfettamente che ridurre l’intera cultura di un popolo ad anime e manga è riduttivo e superficiale, ma, generalmente, si pensa al Giappone quasi sempre in relazione a queste due cose. Ma come posso darvi torto se parliamo di un Paese che promuove sé stesso sulla scena internazionale attraverso shinkansen a tema di Hello Kitty e una serie di gadget raffiguranti Pokemon? Ma, soprattutto, com’è riuscito il Giappone a costruirsi questa immagine? E’ stato un processo inconsapevole o pura strategia? Per risponde a queste domande, è necessario riavvolgere il nastro e partire dal principio… avete mai sentito parlare di Giappone e kawaii culture?

Kawaii culture, Hello Kitty e gli shojo anime

Il concetto e la cultura del ‘carino’ nella lingua giapponese moderna sono stati attribuiti alla parola kawaii che è composta da due kanji 可 abilità/capacità e 愛 amore/affetto e può essere tradotta come ‘amabile’. Si tratta essenzialmente di un aggettivo che nella lingua giapponese assume tantissimi significati a seconda del contesto in cui esso è utilizzato:  da ‘carino’ a ‘dolce’, da ‘sensibile’ a innocente’. Ritornando all’etimologia del termine, è una parola che generalmente si riferisce ad un attaccamento emotivo nei confronti di cose che appaiono piccole, fragili e vulnerabili all’occhio dell’osservatore. Si tratta di oggetti che necessitano di affetto e empatia per sopravvivere, come nel caso dei famosissimi tamagotchi. Un caso esemplificativo della kawaii culture è proprio quello di Hello Kitty.

Hello Kitty integra tutte le caratteristiche dell’oggetto kawaii: corpo piccolo e testa grande, è graziosa, indifesa. In breve, è disegnato proprio per ispirare tenerezza e affetto. Non esiste persona al mondo che non ami questo personaggio. Ma qual è il motivo del suo enorme successo?

Uno dei presumibili motivi potrebbe essere la semplicità del suo design. La sua unicità, il fatto che non abbia una bocca, favorisce la possibilità, da parte di persone di ogni genere/età, di riflettere su di essa qualsiasi tipo di emozione. Moltissimi prodotti, da vestiti a accessori, ai giocattoli per bambini e articoli casalinghi, portano il logo di Hello Kitty, addirittura è stato marchiato su Cup Noodles, aerei passeggeri EVA Air e Nike Airs, diventando una vera e propria icona internazionale.

Volare con Hello Kitty
Un modellino dell’aereo brandizzato Hello Kitty

Inoltre, la kawaii culture viene studiata come un fenomeno che proviene dalle sub-culture giovanili, con particolare riferimento alle giovani teenagers. Infatti, è il risultato del conflitto tra il mondo adulto e quello giovanile giapponese e del disagio per gli stereotipati ruoli di genere imposti alle donne nella società, come la pressione riguardo il diventare mogli e madri ad un’età giovane. Nascono intorno agli anni ‘60 del ‘900 gli shojo anime, ovvero un nuovo genere popolare di animazione televisiva che vede come protagoniste giovani eroine che sfidano le rigide norme di genere per promuovere gli ideali femminili. Questo è un momento in cui la percezione della donna cambia con la diffusione dei media giapponesi e, gli shojo anime sono da considerarsi come una risposta a tali cambiamenti. Questo nuovo filone di cartoni animati contribuisce significativamente ad accrescere la popolarità delle merci kawaii, attraverso le quali avveniva la loro pubblicizzazione.

Processi inconsapevoli o pura strategia?

Infine, vorrei sottoporvi ad alcune riflessioni per comprendere meglio i motivi della diffusione della kawaii culture.

Innanzitutto, la kawaii culture viene da alcuni studiosi considerata come il tentativo di muovere una critica verso le rigide imposizioni a cui venivano sottoposte le donne in quel periodo. Infatti,  come si può vedere, i valori della kawaii culture nascono anche dal rifiuto di assumere ruoli di genere fissati dagli standard sociali per esercitare resistenza nei confronti di una società adulta essenzialmente maschilista. Non è un caso, quindi, che questa narrazione si sia rivelata popolare e efficace in un Paese in cui la disuguaglianza di genere è strettamente radicata nel sistema sociale.

In secondo luogo, altri studiosi prendono in considerazione il contesto storico del Paese. Dopo le atrocità commesse dal Giappone durante la seconda guerra mondiale, l’opinione che il mondo ha del Paese cambia: sentimenti anti-giapponesi si diffondono e diventano comuni soprattutto nei paesi asiatici vicini. Infatti, il Giappone cerca di rivitalizzare la propria immagine dissociandosi dai crimini di guerra e dalle aggressioni imperialiste associandosi, invece, alla tecnologia, alle infrastrutture e ai media da loro creati che erano visti come “non minacciosi” per il mondo occidentale. Rispose quindi con ciò che viene definito soft power, ovvero una strategia diplomatica utilizzata per rendere le persone di altri Paesi più ricettive alle posizioni del Giappone attraverso la diffusione delle culture e dei valori della nazione. La nascita e la diffusione della kawaii culture fu in effetti il mezzo più efficace per raggiungere questi obiettivi.

Emoticon faccine
Faccine kawaii

Per concludere, la kawaii culture può essere considerata come una risposta al senso di nostalgia nei confronti del passato in seguito a processi di industrializzazione e modernizzazione che hanno condannato il popolo giapponese ad una sensazione di ‘homelessness’, quindi ad un bisogno di dipendenza dall’altro, di sentirsi protetto e sicuro attraverso un legame con gli altri. In questo caso, gli oggetti kawaii, piccoli e carini, rimandano ad una fase dell’infanzia in cui tutto era più rassicurante, a differenza del momento presente.

Fonti per l’articolo Il Giappone e kawaii culture

Education about Asia 14, no.2 (Fall 2009): 38-42. “From Hello Kitty to Cod Roe Kewpie, A Postwar Cultural History of Cuteness in Japan”, di Kumiko Saito, consultato il 16/10/2024;
Sito web Ejable, Kawaii Culture: The Power of Cuteness, Jain Himanshu, consultato il 16/10/2024;
Time online, Hello Kitty at 40: Sexist Throwback or Empowering Icon?, di Olivia B. Waxman, 30 ottobre 2014, consultato il 16/10/2024;
“Kawaii Aesthetics from Japan to Europe: Theory of the Japanese “Cute” and Transcultural Adoption of Its Styles in Italian and French Comics Production and Commodified Culture Goods” di Pellitteri  Marco, consultato il 16/10/2024;
Sito Medium, “The globalization of Japanese culture through Hello Kitty“, di Natalie Mao, 12 aprile 2022, consultato il 16/10/2024;
Pacificatrocities.org,  “Goodbye War Crimes, Hello Kitty“, di Ethan Julian Zamora, Jeric Ruiz, Justine Averil, Arizabal, 27 luglio 2023,    consultato il 16/10/2024;
“Consuming Rural Japan: The Marketing of Tradition and Nostalgia in the Japanese Travel Industry” di Creighton Millie, consultato il 16/10/2024;
The Journal of Asian Studies , Volume 73 , Issue 1 , February 2014 , pp. 143 – 164 Magic, “Shōjo” and Metamorphosis: Magical Girl Anime and the Challenges of Changing Gender Identities in Japanese Society.” di Kumiko Saito, consultato il 16/10/2024;
Pop ポップ: come la cultura pop giapponese ha conquistato il mondo“di Matt Alt.