
Se pronunciamo la parola “soia” probabilmente la prima cosa che ci verrà in mente sarà il sushi e una bella pucciata nella salsa di soia. Immagine appagante! Ma se ci riflettiamo bene, moltissimi dei piatti della cucina giapponese non esisterebbero se non ci fosse l’ingrediente alla base: la soia.
I fagioli di soia sono stati coltivati in Giappone per centinaia di anni, anche se non hanno conquistato da subito la cucina. Fu solo quando il tofu e l’hishio (il precursore del miso e della salsa di soia) vennero introdotti dalla Cina grazie ai monaci che questo prodotto iniziò a conquistare pian piano la sua fama.
Oggi si possono trovare in diverse forme (da quella più semplice, come gli edamame, i fagioli verdi consumati come snack, a quella più complessa e lavorata) e in numerosi piatti, creando alcuni dei sapori essenziali dei più popolari piatti giapponesi.
Ma facciamo un attimo mente locale e riavvolgiamo il nastro a qualche secolo fa.

La soia nella cucina giapponese
A quei tempi arrivarono tofu e hishio, una pasta salata e grossolana di fagioli di soia fermentati, da mangiare da sola o accompagnata da riso o altri cereali, entrambi in forme molto grezze.
Solo quando vennero introdotti metodi di produzione più avanzati, nacque anche il miso così come lo conosciamo oggi e il liquido in superficie nelle botti di miso venne trasformato in salsa di soia.
L’inizio di una storia d’amore che ha dato le basi per una cucina che contiene più prodotti a base di soia di quelli che si potrebbe pensare! Andiamo a scoprirli.
Salsa di soia
Partiamo proprio da LEI. Sapevate che la parola soia deriva dal giapponese shoyu che significa salsa di soia? Questo dimostra quanto sia importante nella cucina giapponese. La salsa di soia si trova alla base di tanti piatti, tra i quali zuppe, udon e i classici shoyu ramen. Viene usata come condimento oppure si crea una salsa densa per il sushi o gli yakitori (spiedini di pollo grigliati); e poi, ovviamente, si trova su tutte le tavole dei ristoranti giapponesi!
Non è difficile capire che si tratta di uno dei sapori più amati nel Paese. Ma esattamente come viene fatta?
I fagioli di soia cotti, frumento tostato e lievito di riso vengono uniti e lasciati macerare per diversi giorni, finché non si sarà creato il giusto insieme di aromi e l’umami adeguato (in italiano possiamo definirlo il saporito, sapido). Vengono aggiunti sale e acqua e poi si lascia tutto a fermentare per un periodo che può durare fino a 6 mesi. Terminato questo tempo, l’impasto viene pressato e nasce così la salsa di soia “grezza”.
La salsa di soia può suddividersi in categorie, in base al grado di umami contenuto. In più, troviamo diverse tipologie in base all’utilizzo che se ne andrà a fare, dalla salsa di soia da cucina al “semplice” condimento. A ciascuno il suo!

Miso
E’ uno degli altri prodotti fondamentali, senza il quale non potrebbe esistere uno dei piatti alla base dell’alimentazione giapponese: la zuppa di miso. E’ senza dubbio il più conosciuto, ma ci sono altre versioni di piatti, come il miso ramen o il miso katsu (maiale o pollo fritti con salsa di miso) in cui il miso è parte fondamentale! Per di più, è uno degli elementi che non manca mai nella cucina casalinga.
Anche in questo caso la produzione è molto simile alla salsa di soia; l’aggiunta di acqua è minore ed è previsto l’utilizzo di altri ingredienti oltre al frumento, come il riso e l’orzo. In base agli ingredienti e al tempo di fermentazione si hanno colori, sapori e aromi diversi.
Miso chiaro, più delicato e dolce, miso scuro, più salato. Una tipologia particolare è quello rosso (chiamato anche haccho), tipico della zona di Nagoya (città della regione di Chubu nell’isola di Honshu, Giappone centrale).

Tofu
Un ingrediente che nel mondo ha generato un po’ di odi et amo. Spesso rifiutato col naso storto a causa della sua neutralità, in realtà nasconde un potere che ne fa un potente alleato: la versatilità. Lo si trova come star dei piatti che vanno dalla zuppa di miso, al condimento, mixato con la carne trita e il peperoncino come “mapo tofu”, dolcificato e servito come dessert.
In Giappone il tofu inizialmente venne assorbito nella dieta vegetariana monastica, ma la sua popolarità non tardò a diffondersi prima tra gli aristocratici e poi, finalmente, tra la gente comune (ma solo diverse centinaia di anni dopo!).
Ci sono molti tipi di tofu, ognuno con le sue peculiarità ed essenzialmente si distinguono in base alla produzione.
Il metodo tradizionale consiste nell’unire il latte di soia riscaldato con il nigari, un coagulante naturale. Si crea una pasta grezza chiamata yose o oboro, soffice e fresca. Quando questa pasta viene messa negli stampi, prende il nome di tofu kinugoshi. Invece il tofu più solido, chiamato momen, è il risultato della pressatura nello stampo, lasciando che rilasci del liquido. Esistono anche diverse sotto-categorie, ma queste sono le principali in Giappone. Cosa interessantissima? E’ un’ottima fonte di proteine vegetali, ne contiene circa 8 g su 100 g!

Kinako
Uno degli accompagnamenti più popolari per i dessert giapponesi. E’ una polvere ricavata dalla macinazione dei fagioli di soia tostati. Non è dolce quindi, ma dona una ricchezza di sapore notevole.
L’esempio lampante è il warabi mochi, un classico: un mochi morbido e gommoso, coperto di kinako e un filo di kuromitsu, uno sciroppo dolce. E’ uno dei must in Giappone.
Natto
Non molto conosciuto nel nostro Paese, in Giappone ha la sua bella fetta di mercato. E’ molto simile al miso per produzione (si utilizza un fungo diverso per la sua fermentazione, il Bacillus natto), ma la consistenza è decisamente singolare. Viscida potremmo dire, una di quelle consistenze che i giapponesi apprezzano ma che noi italiani facciamo decisamente fatica a mandare giù! Viene usato anche per aromatizzare zuppe e minestre o mangiato con il riso (per esempio a colazione).

Con qualche chicca in più nel bagaglio, non resta che testare questi incredibili sapori, più curiosi che mai!
Savory Japan, Soybeans the most essential ingredient in Japanese food
Il tofu giapponese in cucina di Silvio Franceschinelli