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Il Giappone nella Seconda Guerra Mondiale

Bandiera Impero Giapponese

La seconda guerra mondiale fu il conflitto più grande mai visto. Coinvolse nazioni e popoli di tutti i continenti e provocò danni enormi e innumerevoli vittime. Il Giappone nella seconda guerra mondiale entrò al fianco di Germania nazista e Italia fascista contro Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. Andiamo quindi a vedere quale fu il suo ruolo nel conflitto dalla sua entrata nel 1941 fino alla completa disfatta nel 1945.

LE PREMESSE

Già a partire dai primi anni Trenta il Giappone aveva iniziato varie operazioni militari sul continente asiatico ai danni della neocostituita Repubblica Cinese. Queste operazioni erano risultate nell’occupazione di grandi porzioni di territorio principalmente nelle aree settentrionali della Repubblica. Ciò portò nel 1932 alla fondazione del Manzhouguo, ossia l’Impero di Manciuria, alla cui guida si pose l’ultimo imperatore della dinastia Qing, Pu Yi. Esso era uno stato fantoccio guidato di fatto da emissari giapponesi. Doveva servire come punto d’appoggio strategico per le operazioni nipponiche in Asia.

Mappa di Cina e Giappone nella Seconda Guerra Mondiale
“File:China-Manchukuo-map zh.svg” by Boracasli is licensed under CC BY-SA 3.0
In verde: l’Impero del Manzhouguo, istituito dal Giappone prima della seconda guerra mondiale

Le criticità suscitate dalle azioni dell’Impero Giapponese sul continente, considerate illegittime dai governi delle grandi potenze occidentali, portarono il Giappone ad annunciare la propria uscita dalla Società delle Nazioni, organo sovranazionale creato in seguito al primo conflitto mondiale per evitare altre tragedie simili, nel 1933. Questo stato di isolazionismo a livello internazionale portò negli anni all’avvicinamento con Germania e Italia, che in seguito ad azioni militari analoghe subirono simili critiche. Si giunse quindi alla firma del Patto antiComintern nel 1936 con la Germania (esteso all’Italia l’anno dopo), per contrastare le azioni dell’Internazionale Comunista e del Patto Tripartito nel 1940, con lo scopo di mutuo soccorso in caso di conflitto con gli Stati Uniti. Tale conflitto arrivò dopo il fallimento di mesi di trattative con il governo di Washington e l’attacco giapponese a Pearl Harbor il 7 dicembre 1941.

GLI INIZIALI SUCCESSI GIAPPONESI

Mappa del colonialismo giapponese durante la seconda guerra mondiale
La massima estensione dell’Impero Giapponese, compresi i territori occupati nella seconda guerra mondiale

In un primo momento le operazioni militari giapponesi nel conflitto mondiale ebbero un discreto successo. Le forze nipponiche dopo un paio di settimane riuscirono a prendere Hong Kong, assestando anche dei notevoli colpi alla marina militare britannica in Malesia. Nei primi mesi di guerra caddero anche Singapore e il Borneo, anch’essi sotto controllo britannico e l’attuale Indonesia, al tempo Indie Orientali Olandesi. A marzo l’esercito invase anche la Nuova Guinea e tra aprile e maggio caddero le Filippine, gestite da un governo provvisorio dopo una pluridecennale occupazione americana in seguito alla conquista dell’ex colonia spagnola nella guerra ispano-americana del 1898. Della Nuova Guinea gli anglo-americani conservarono solo la parte meridionale con Port Moresby; essa sarebbe poi servita da base d’appoggio per la controffensiva degli anni seguenti, mentre l’Australia fu solo bombardata, ma mai invasa.

IL RIBALTAMENTO DELLA SITUAZIONE

Il punto di svolta per gli Stati Uniti fu sicuramente la battaglia delle isole Midway, in cui i giapponesi puntavano a distruggere le portaerei americane per minare il vantaggio che il nemico aveva in fatto di mezzi. Gli americani però decrittarono i messaggi dei giapponesi, organizzando così una trappola per gli avversari. Essi usarono infatti i radar per intercettare le navi nipponiche e sfruttarono anche la mancanza di due delle portaerei dell’impero, che erano in riparazione per danni subiti nelle battaglie precedenti. Per i giapponesi fu una disfatta e il loro obiettivo fallì, portando anzi all’effetto contrario, ossia la perdita di mezzi e veterani di guerra da parte giapponese. Iniziò quindi per l’esercito imperiale un’inesorabile arretramento.

Il primo avamposto a cadere fu Guadalcanal, nelle Isole Salomone, mentre in Nuova Guinea i giapponesi cominciarono a perdere terreno. Nella primavera del 1943 gli americani riconquistarono molte isole del Pacifico grazie alla tecnica del leapfrogging (salto della cavallina), che prevedeva di evitare di sprecare tempo e munizioni su obiettivi poco tattici per concentrarsi su quelli principali, avanzando quindi molto più rapidamente in territorio nemico. Entro febbraio del 1944 l’ammiraglio Nimitz e i suoi erano riusciti a riconquistare le isole Gilbert, le isole Marshall e le Caroline. Entro l’estate gli Alleati erano arrivati a combattere nel Mar delle Filippine, dove riuscirono a sconfiggere i giapponesi a Saipan.

Territori giapponesi nella Seconda Guerra Mondiale
In rosso: i territori occupati dal Giappone in Cina nella seconda guerra mondiale con l’operazione numero 1
Un ultimo tentativo

Anche sul fronte occidentale il Giappone perse sempre più vantaggio, fallendo nuovamente nell’impresa di penetrare in India a causa della resistenza opposta dall’esercito dell’Impero Britannico. A questo punto, i giapponesi misero in atto il loro maggior progetto militare sul continente asiatico, l’operazione numero 1, in giapponese ichigo sakusen (一号作戦).

Essa avrebbe dovuto compromettere i supporti logistici americani sul continente tramite un avanzamento lungo tutta la Cina sull’asse nord-sud eliminando le basi nemiche; gli americani, però, che avevano da poco ripreso le Marianne, trovarono più conveniente bombardare il Giappone da lì, portando a un fallimento de facto dell’operazione.

LA SCONFITTA del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale

Mentre altre battaglie si susseguivano nel Pacifico, portando il Giappone a perdere sempre più isole, fra il 1944 e l’inizio del 1945 gli americani guidati dal celebre ammiraglio McArthur si apprestavano alla riconquista delle Filippine. La battaglia finale si combatté a Luzon, dove, com’è prevedibile, i giapponesi persero.

In realtà, in Giappone si sapeva bene già all’inizio del 1945 che la guerra non potesse essere vinta, ma si decise comunque la continuazione delle ostilità, per ottenere alcune vittorie che concedessero all’impero maggiore potere negoziale con gli americani in una futura dichiarazione di pace. La situazione però non fece altro che peggiorare. Gli americani riuscirono nell’aprile del 1945 a mettere piede in territorio giapponese, più precisamente a Okinawa (沖縄) e Iwo Jima (硫黄島), dove 20.000 soldati giapponesi affrontarono i marines nascondendosi nelle numerose grotte naturali e compiendo assalti a sorpresa; queste tattiche portarono alla morte di molti americani, ma i soldati imperiali furono comunque annientati.

l’atto finale

In agosto si arrivò al capitolo finale del conflitto. Il sesto giorno del mese, un B-29 sorvolò la città di Hiroshima (広島), sganciando un ordigno dalla potenza inaudita; furono tra gli 80 e i 120 mila i morti a causa di ferite o radiazioni. Vista la situazione critica, il consiglio supremo dell’impero si riunì il 9 agosto, per valutare un’effettiva resa alle volontà degli alleati esposte nella dichiarazione di Potsdam consegnata alle autorità giapponesi giorni prima. Durante la conferenza le autorità supreme ricevettero la notizia dello scoppio di una seconda bomba sulla città di Nagasaki (長崎). Essa uccise, lo si seppe poi, più di 70 000 persone. Le autorità firmarono la dichiarazione e il 15 agosto si trasmise su scala nazionale il messaggio dell’Imperatore Showa (昭和 天皇), che comunicava alla nazione la fine delle ostilità.

Le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki
I celebri funghi atomici di Hiroshima (sinistra) e Nagasaki (destra) che segnarono la sconfitta del Giappone nella seconda guerra mondiale

I TERMINI DELLA PACE

Secondo la dichiarazione di Potsdam, le forze alleate avrebbero occupato l’arcipelago per un numero imprecisato di anni in modo da evitare l’insorgenza di una nuova retorica nazionalista che portasse ad un altro conflitto, nonché per punire i criminali che avevano portato il Giappone sulla strada della guerra totale. Si davano anche però garanzie al popolo; i militari avrebbero potuto tornare in patria e non ci sarebbe stata oppressione del paese da parte delle forze di occupazione.

Imperatore giapponese e generale McArthur
L’Imperatore Showa con il capo dell’occupazione, il generale McArthur

Il controllo alleato avrebbe permesso al paese di avviarsi sulla strada della democrazia e delle ripresa economica per pagare a tempo debito le riparazioni di guerra. Sarebbe infine stata rispettata la struttura dello stato, mantenendo sul trono la dinastia imperiale. L’occupazione iniziò il 28 agosto dello stesso 1945 e sarebbe terminata solo il 28 aprile 1952.

fonti

A. Revelant, Il Giappone moderno dall’Ottocento al 1945, Einaudi, Torino, 2018

I prigionieri tedeschi in Giappone durante la Prima Guerra Mondiale – K-ble Jungle

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