
Il Giappone è attualmente uno dei pochissimi paesi industrializzati in cui il cristianesimo è presente solo come religione minoritaria. Ma quando è entrato nel Paese e perché non vi si è diffuso? Scopriamo insieme il cristianesimo nel Giappone premoderno
primi contatti con il cristianesimo
In rosso: Kyushu, dove sbarcarono i primi portoghesi, nonché luogo della maggiore diffusione del Cristianesimo in Giappone
Il primo contatto diretto tra giapponesi e cristiani avvenne nel 1543, quando una nave portoghese che transitava al largo delle coste del Kyushu vi naufragò. Si trattò del primo incontro tra europei e giapponesi, i quali avevano prima di quel momento avuto contatti solamente con i vari popoli dell’Asia Orientale.
In seguito a questo naufragio, il Giappone cominciò ad intrattenere i primi rapporti commerciali con i portoghesi; in Europa iniziarono a diffondersi sempre più notizie sul cosiddetto “Cipango”, della cui esistenza, ma solo di quella, si sapeva già dai viaggi di Marco Polo presso la corte degli Yuan della seconda metà del XIII secolo. Dopo questi primi contatti, gli europei cominciarono anche a commerciare stabilmente con i giapponesi attraverso i porti delle isole meridionali. Fra le altre cose, in questo periodo si importarono anche gli archibugi, le prime armi da fuoco portatili nell’arcipelago.
i primi tentativi di evangelizzazione

Dopo alcuni anni, a metà del Cinquecento dall’Europa cominciarono ad arrivare i primi flussi di missionari cristiani, in particolar modo appartenenti all’ordine dei gesuiti. Una delle figure più importanti di questo periodo fu sicuramente Francesco Saverio, missionario gesuita, che iniziò la diffusione del Cristianesimo tra i locali. Alcuni decenni dopo arrivarono in Giappone anche i francescani, i quali provenivano per lo più dalla Spagna.
L’opera di evangelizzazione fu però alquanto fallimentare in Giappone, in quanto la conversione al cristianesimo si limitò quasi esclusivamente alla piccola nobiltà militare delle zone sud-occidentali. Appare evidente, analizzando le fonti dell’epoca, che fosse un fenomeno prettamente utilitaristico, essendo che i nobili prendevano il battesimo solamente per poter facilitare i rapporti commerciali con i paesi occidentali e non esitavano a rinnegare la propria “fede” nel momento in cui subivano le pressioni del clero buddhista, contrario alla diffusione del nuovo credo.
Insomma, l’influenza esercitata dalla religione cristiana sul popolo dell’arcipelago non è minimamente paragonabile a quella esercitata dal buddhismo secoli prima, anche perché il coinvolgimento delle masse fu decisamente esiguo, per quanto le rare conversioni dei poveri fossero effettivamente genuine.
le battute finali
Già a partire dall’inizio del XVII° secolo, con l’arrivo nell’arcipelago degli olandesi prima e degli inglesi poi, il processo di evangelizzazione subì una battuta d’arresto. Infatti, i due paesi di religione protestante non erano interessati a diffondere il proprio credo, bensì al puro e semplice commercio. A causa di ciò i signori feudali non erano più costretti ad abbracciare la nuova fede per poter instaurare dei rapporti commerciali solidi e, quindi, l’interesse verso il Cristianesimo cominciò a scemare. Pochi anni più tardi, poi, l’imposizione di limitazioni sul commercio estero da parte dello shogunato Tokugawa portò a delle uguali limitazioni sulla professione della fede cristiana, che divenne sempre più scoraggiata, divenendo illegale nel 1614.
Le persecuzioni messe in atto dallo shogunato divennero sempre più aspre; uno dei metodi più comuni per far rinnegare la fede ai cristiani era quello di fargli calpestare delle icone religiose cattoliche, pratica definita fumi-e (踏み絵), ossia “calpestamento delle immagini”. Le persecuzioni portarono infine alla rivolta di Shimabara, penisola situata vicino a Nagasaki. Tra i 27.000 e i 37.000 cattolici giapponesi, molti dei quali contadini, dopo aver decapitato delle icone buddhiste si opposero all’armata dello shogunato, composta da più di 100.000 uomini. Com’era prevedibile, lo shogunato riportò una vittoria schiacciante, con meno di 2.000 vittime tra le proprie righe.

Dejima, dove vennero confinati gli olandesi
le conseguenze della battaglia
Per quanto riguarda i cristiani, tutti coloro che non perirono negli scontri vennero decapitati dalla armate ufficiali per aver offeso la Vera Legge, lo shintoismo e lo shogunato stesso. In seguito a questo evento tutti i portoghesi dovettero lasciare il Paese, ritirandosi a Macao e lo shogunato isolò gli olandesi a Dejima, un isolotto artificiale nella città di Nagasaki, da dove potevano commerciare in maniera sicura con i giapponesi. Da quel momento in poi tutta la popolazione giapponese dovette essere iscritta al registro di un tempio o santuario in modo da poter provare di non professare il cristianesimo e chi veniva trovato in possesso di immagini religiose cristiane veniva punito molto severamente.
Iniziò quindi il lungo periodo del sakoku (鎖 国), “paese in catene”, che vide la chiusura dei confini giapponesi non solo a gran parte dei commerci, ma anche alle influenze culturali straniere fino alla metà dell’Ottocento, quando, dopo l’arrivo delle “navi nere” del commodoro Perry, lo shogunato fu costretto con le minacce a riaprirsi al mondo.
fonti sul cristianesimo nel Giappone premoderno
R. Caroli, F. Gatti, Storia del Giappone, Editori Laterza, Bari, 2017
Endo Shusaku, scrittore cristiano in Giappone